“Scrivo molto più velocemente di quanto voi possiate leggermi. È voluto. E se mai ci fosse qualcuno tanto folle da provare a raggiungermi, scriverò di più e più veloce per distanziarvi. “Max, quello che scrive libri”. “Ti ricordi Max, quello che scriveva libri”. “Dovrei avere da qualche parte un suo libro”. È lì che voglio stare fra il dimenticato e il ritrovato. Tra il perso in un trasloco o sotto una fila di riviste in un cesso. Aperto per caso cinque o dieci anni dopo, perché in quel momento non avete proprio niente di meglio da fare. Ma fatelo con cautela perché racconterò un pezzo della vostra vita fingendo che sia la mia; un espediente per non spaventarvi. Vi riconoscerete, ma non potrete dirlo a nessuno. Solo dopo e solo allora, mi metterete sotto al tavolo per pareggiare un dislivello. Dell’anima. Pochi secondi in cui sarò davvero scrittore e voi davvero lettori”.
                                                                                                                                       Massimo

“IL FIORE DEL MELO”
pubblicato nel 2016

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A Lagundo ho camminato sulla primavera. Nelle ore del primo mattino i raggi del sole ricamano sui meleti complessi giochi di luce, che si dissolvono in una palpitazione di bianco e di rosa. Nello stesso momento il vento tesse eleganti e sottili arabeschi; poi soffia innumerevoli volte nei più imprevedibili modi, petali tra i petali. Così, quasi dondolandosi, cadono come esserini sull’asfalto e lo ricoprono, come se inspiegabilmente sapessero riconoscere un qualche senso in quello che fanno. Petali che si moltiplicano all’infinito nell’indifferenza dei luoghi e delle persone abituate ormai a calpestarne l’idea ma anche il legame con la loro stessa vita. Sembrano così non avere più scampo, ma hanno coraggio; in realtà lo smembramento, il loro frammentarsi è sia un estremo atto di libertà sia consapevolezza del tutto di cui fanno parte. In questa logica il tutto e la parte vengono a coincidere; la parte salvata e ancora attaccata coinciderà con la parte divelta e sparsa sulla terra, in attesa della loro reciproca resurrezione; risarcimento nelle parti e nella parte, nel frutto più antico che sia stato donato: ma attenzione, un falso frutto. Ecco perché il fiore diventa mela compiendo il senso più profondo della primavera.

“IL SETTIMO POSTO”
pubblicato nel 2017

Quattro racconti sull’estetica e sulla sensibilità del tempo. L’idea, il filo conduttore che lega questi racconti, nasce per caso a Napoli e si esaurisce in modo naturale a Merano. Sorprendendomi; perché fin dall’inizio, pur nelle diversità narrative, rimaneva una cosa sola. Mi è bastato riempire lo spazio che avevo lasciato fra i quattro titoli. Un giorno in piazza del Gesù guardai un tabellone, e su di esso una pubblicità; quella di una rappresentazione teatrale: si trattava della “Coscienza di Zeno” di Italo Svevo. Mi venne in mente di averlo visto l’ultima volta a Merano; la mente fissò il ricordo su una frase: “Eppoi il tempo, per me, non è quella cosa impensabile che non s’arresta mai. Da me, solo da me, ritorna”.

“SALA SEI”
pubblicato nel 2017

La stanza aveva due finestre; una piuttosto buia che affacciava su un retro e che ricordava il cortile interno dei palazzi del mio quartiere; così simile da sembrare proprio uguale a quello che avevamo nel mio. Anche nelle più belle giornate di sole quel lungo imbuto rettangolare ti consentiva di vedere solo un piccolo quadrato azzurro e questo quando i panni stesi e umidi non ne caratterizzavano ancora di più l’immagine, sottraendovi cielo. Era sufficiente a un bambino che avesse fantasia. L’altra finestra dava sul davanti; si apriva su un piccolo balcone che aveva la vista su un grande giardino. Pochi alberi da frutta e oltre quelli, un’altra casa. Di fronte, un parapetto in legno spesso, sul quale passeggiava per caso un gatto, in un equilibrio indifferente mentre mi osservava. E questo era sufficiente a un uomo che sapesse sognare.

“IL SIGNOR MANI IN FACCIA”
pubblicato nel 2018

Che poi, non si tratta nemmeno di fare una passeggiata, non saprei più che passo tenere, non sono il tipo; quel tipo d’uomo che asseconda la propria andatura. Troppo piano, troppo veloce, che dici? Averla accanto escludeva tutte le altre andature: cammino solo, è vero. Da quattro anni. Ma non mi sembra il caso di farne un dramma. Lo ricordo. Lungo il fiume. Lo so. Lungo i sentieri. Lo so. Da quattro anni. Ma non riesco a stancarmi. Di ricordare la felicità. A modo tuo. Andare, andare. Ma non saprò più quale passo sia. Mai più. Al massimo tirerai avanti per nasconderti alla fine di quel sentiero e non mi rimarrà altro da fare, che lasciare un soldino per il miele, e rimanere là, ad aspettare, ma non sarà la stessa cosa. Perché sarà solo aspettare. Su una panchina, almeno quella, lungo il fiume, lungo i sentieri. Ad aspettare.

“LE REGOLE DEL GIOCO”
pubblicato nel 2019

E allora rispondi a questa domanda, credi che lei ti pensi? – Mi piacerebbe che non lo facesse mai. Mai più. Non vorrei che lo facesse, non vorrei proprio, nemmeno per un secondo, nemmeno distrattamente o per caso. Ma se lo dovesse fare, vorrei che fosse solo rabbia, non quella intrisa di amarezza, dispiacere, o di finta pietà. Vorrei che fosse proprio odio. Odio crudele e feroce. Per un uomo che le ha rubato tre anni della sua vita. Un ladro che si è portato via qualcosa di suo, di grande e meraviglioso, e che mai le verrà restituito. Odio e solo odio. Sarebbe un sentimento almeno. Non metafisica dell’ipocrisia. (…)

“ALESSIA UN NOME DI DONNA”
pubblicato nel 2019

Cinque racconti: Il fiore del melo, Il settimo posto, Sala Sei, Il Signor Mani in faccia, Le regole del gioco.

Cinque racconti: Il fiore del melo, Il settimo posto, Sala Sei, Il Signor Mani in faccia, Le regole del giocoCinque racconti: Il fiore del melo, Il settimo posto, Sala Sei, Il Signor Mani in faccia, Le regole del giocoCinque racconti: Il fiore del melo, Il settimo posto, Sala Sei, Il Signor Mani in faccia, Le regole del giocoCinque racconti: Il fiore del melo, Il setimo posto, Sala Sei, Il Signor Mani in faccia, Le regole del

“HAMPELMANN E LA LUNA”
pubblicato nel 2020

Vedi Luna, tra la strada e l’ingresso di un ristorante dove vado spesso, ci sono 21 passi e 50 respiri. Una persona normale, magari seduta in uno dei tavoli a mangiare con la famiglia, non calcolerebbe mai i suoi passi. A dire il vero, nemmeno ci farebbe caso, al massimo noterebbe un uomo passare di lì. Uno scrittore lo fa. Uno scrittore sa sempre cosa scrive e l’emozione che l’ha generata: 21 passi e 50 respiri, te lo assicuro. Non uno di più non uno di meno. Il lettore ci mette un po’ di tempo in più ma poi capisce perfettamente cosa cazzo ha scritto lo scrittore. Succede così, ascolta: trova quel ristorante e percorre la stessa distanza. 18 passi e 48 respiri. Pensa allora che lo scrittore gli abbia mentito. Perché mai l’avrà fatto? Perché? E non lo legge più o magari pensa che sia un pessimo scrittore; uno che non vale niente. Poi un giorno in un’altra città o in un altro paese, proprio fuori dal suo ristorante preferito, per puro caso, conta i suoi passi: 21 passi e 50 respiri. E si ferma: prova una sensazione strana, un ritrovamento. No, non è un caso che li abbia contati e che abbia provato quell’emozione; la mia o la sua? Non importa Luna. Non siamo proprietari di emozioni, casomai contatori di passi. Calpestiamo. Il lettore e lo scrittore sono distanti in quel momento, troppo distanti, in due città diverse, che vuoi, la vita è così. il primo già conta i passi che lo distanziano dalla sua tabaccheria preferita, mentre il secondo mette la chiave nella macchina per tornare a casa. Vedi Luna, è come se sentissi il motore che parte e lui che mi pensa.

“IL CHE32
Ultimo libro di Massimo, rimasto incompiuto per la sua morte prematura

“Ogni volta che gli chiedevano della bellezza lui mentiva, perché se avesse rivelato il suo pensiero, lo avrebbero deriso o quanto meno avrebbero ritenuto le sue parole inadeguate; e cioè non avrebbero percepito la bellezza attraverso la sensibilità che provava. E allora mentiva, associando e descrivendo l’immagine della bellezza come, di volta in volta, si aspettavano che facesse uno scrittore, che di bellezza deve sapere. Ma ogni volta che gli parlavano di bellezza lui pensava a lei, e siccome si era imposto di dimenticarla era un uomo privo di bellezza. Ogni volta che gli chiedevano della follia lui mentiva, perché se avesse rivelato tutto ciò che sapeva sulla follia, lo avrebbero indicato e additato come pazzo, senza comprendere il senso profondo e la sensibilità che si cela dietro la follia di un uomo che scrive. E allora mentiva, associando e descrivendo l’immagine della follia come, di volta in volta, si aspettavano che facesse uno scrittore che di follia deve sapere. Ma ogni volta che gli parlavano di follia lui pensava a lei, e siccome si era imposto di dimenticarla era diventato matto; matto davvero. Ogni volta che gli chiedevano dell’amore lui mentiva, perché se avesse rivelato il suo pensiero lo avrebbero schernito o non avrebbero creduto alle sue parole; e cioè non avrebbero percepito la sensibilità dell’amore che esprimeva. E allora mentiva, associando e descrivendo l’immagine dell’amore come, di volta in volta si aspettavano che facesse uno scrittore che d’amore deve sapere. Ma ogni volta che parlava d’amore lui pensava a lei, e siccome si era imposto di dimenticarla era un uomo senza amore. Pazzo, incapace di bellezza e d’amore, iniziò a scrivere un romanzo…”
(ndr: peccato che questo libro Massimo non sia riuscito in tempo a concluderlo e a darlo alle stampe… Come sua abitudine, aveva già elaborato la copertina).

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